Ave Frater e Soror,
mi permetto di cogliere l’occasione di questa festa a noi cara, la festa di Babalon, per parlare di un aspetto molto utile nelle operazioni magiche: l’energia amorevolmente devastante della Grande Madre.
Da un punto di vista grammaticale, le mie parole hanno molto dell’ossimoro. È vero, infatti se si osservano le immagini Indù di Shakti si potrà notare questa antinomia concettuale guardando con attenzione quanto tiene nelle mani.
Ora capiamo meglio questo aspetto dicotomico della Grande Madre e prometto che lo faremo in modo abbastanza veloce, senza troppe pagine da leggere.
Nel suo Secret Doctrine la Blavatsky scrive che Fohat è il principio elettrico vitalizzante che anima e dà impulso al cosmo; magnetismo ed elettricità ne sarebbero soltanto le manifestazioni fenomeniche terrene.
La comparazione delle descrizioni e delle definizioni porta a riscontrare la netta somiglianza di Fohat, per funzione e qualità, a Sakti, che a suo luogo riferimmo a Binah, il nostro terzo Sephirah.
Esiste però un’altra via che conduce a questa attribuzione anche in assenza o nell’irreperibilità di descrizioni di qualità note e già associate all’Albero della Vita, con le quali procedere alla comparazione.
Nella sua comune traslitterazione ebraica Fohat ha il valore numerico 165, secondo la Ghematria. Anche la parola ebraica Chazokim, che significa Forza o Energia, ha valore 165.
Ecco rintracciata l’esistenza di una connessione tra Fohat e l’idea di Forza o Energia, e già da questa soltanto possiamo trarre l’indicazione del carattere marziale di Fohat.
Possiamo però procedere oltre nella nostra applicazione delle particolarità del nostro alfabeto filosofico.
1+6+5=12.
1+2=3, il numero di Binah, cui è attribuita Sakti.
Secondo un’altra grafia la traslitterazione di Fohat ha valore numerico 95, valore numerico di un’altra parola ebraica HaMayim, che significa le Acque. Il Grande Mare è stato menzionato fra le corrispondenze di Binah e Binah non è soltanto Shechinah (vedere miei post nel social LaViadiLilith.social), lo “Spirito Santo”, ma anche Sakti.
Sommando le cifra 9 e 5, abbiamo 14. La parola ebraica Dod vale 4 + 6 + 4 = 14. Il suo significato e Amore, in ovvia armonia con la Grande Madre, e possiamo quindi annetterlo a comporre il significato di Fohat.
Questo amore si può interpretare come una forma di magnetismo che si manifesta in coesione e attrazione fra gli oggetti e le particelle del mondo fenomenico. Leggendo meglio le pagine di The Secret Doctrine che trattano di Fohat, si nota che la Blavatsky ne cita fra le corrispondenze Eros, il giovane Dio dell’Amore!
La Blavatsky scrive altrove che Fohat è nel cosmo quel che Kama, il principio individuale passionale o di desiderio, è nel microcosmo.
I simboli vengono qui a combaciare perfettamente e nella più piena evidenza. Ma è possibile spingersi oltre.
La somma di 1 e 4 dà 5 e 5 è la sfera di Geburah, o di Marte , e lo/a studente ricorderà certo che questo Sephirah ripropone su un piano inferiore il principio energetico già attribuito a Binah.
Lo stesso risultato può essere raggiunto per un’altra via, analizzando separatamente ogni lettera componente la parola Fohat.
F è Marte, con la connotazione che gli è implicita di Forza ed Energia Bruta.
O è Priapo, il Dio fallico greco della fecondità e della fertilità.
H è l’Ariete, nel quale Marte è esaltato. L’Arcano dei Tarocchi attribuitogli è l’Imperatore, che scopriamo dissimulare il simbolo alchemico dello Zolfo, o l’indù Gunam di Rajas.
A è Thor con la sua Svastica, che dal cielo scaglia sulla terra i suoi fulmini. Aleph è anche la Forza turbinosa del Primum Mobile, che dall’informe polvere cosmica crea la spirale delle nebulose.
T è il Leone, cui è attribuito l’ottavo Arcano dei Tarocchi: La Forza.
Sono tutte, come si può vedere, corrispondenze che ripropongono il significato generale di forza, energia, potenza, coincidendo pienamente con la descrizione di Fohat data dalla Blavatsky.
Da qui si può capire perché leggendo di Sakti in Wikipedia, si trova questa descrizione: come termine, śakti (devanāgarī शक्ति, IAST śakti, «energia», «potenza») indica, nell’Induismo, il potere di una Dea di dare luogo al mondo fenomenico e al piano cosciente della creazione, la Sua capacità creativa immanente; come nome proprio, Śakti indica l’Energia divina femminile personificata. Un’energia tutt’altro che accomodante e sottomissiva, piuttosto difensiva e aggressiva.
Ora analizziamo la terza sephiroth: Binah! Ci facciamo aiutare in questa disamina da Israel Regardie (occultista, cabalista, medico e - soprattutto - amico e segretario di Crowley). Ci si avvale di questo Maestro, per descrivere Binah, e non dell’altra grande Maestra Dion Fortune, perché Israel - specie per Binah - usa le ricorrenze del Liber 777 di Crowley nella sua versione dattilografa e non quella stampata disponibile al “volgo”.
Secondo Regardie il Tre è Binah, Intelligenza (meglio definirla Comprensione N.d.A.), e le si fanno corrispondere Saturno, il decano degli Dèi, e il greco Kronos, Dio del Tempo. E’ Frigg, moglie del nordico Odino e madre di tutti gli dèi. Tre è anche Shakti, consorte di Shiva, il Distruttore della Vita. Shakti è quella onnipervadente energia vitale che unisce e assicura la coesione di tutte le forme, la forza costruttiva che si fa carico, nelle genesi dell’esistente, dell’esecuzione del progetto del Pensiero Divino, Chokmah. Binah è Maya, potere universale di illusione, la Kwan Yin del buddhismo cinese, il principio negativo Yin del taoismo, la dea Kali dell’induismo ortodosso, il Grande Mare dal quale veniamo.
L’iconografia indù di Kali con le sue quattro braccia è estremamente pregnante.
La si rappresenta con una collana di crani e cinta alla vita di braccia umane, in oro; la mano inferiore sinistra regge una testa umana mozzata, pure d’oro e la superiore leva una spada; con la mano inferiore destra offre doni ai fedeli, mentre con la superiore erge il simbolo dell’assoluta intrepidità (nelle immagini più arcaiche di Kali, la posizione degli oggetti presenti nelle mani di destra è a sinistra e viceversa - per chi ha seguito alcune nostre lezioni, può intuire il perché - N.d.A.). I crani e la spada raffigurano il suo lato terribile e distruttivo; le mani destre, che dispensano doni e coraggio, il suo lato benigno che la fa assomigliare alla concezione occidentale di Iside - Lilith. E’ insieme terribile e dolce: come la Natura, che alterna distruzione e creazione.
Nel sistema teosofico, un aspetto di Binah è Mulaprakriti, sostanza cosmica originaria, che, afferma la Blavatsky, deve essere considerata quale oggettività nella sua più pura astrazione: la base di per sé esistente, la cui differenziazione viene a costituire la realtà oggettiva soggiacente ai fenomeni di ogni fase dell’esistenza cosciente. E’ questa forma sottile di materia prima o fondamentale che noi tocchiamo, sentiamo e respiriamo senza percepire, guardiamo senza vedere, ascoltiamo e odoriamo senza per questo avere la benché minima cognizione della sua esistenza.
Nel suo The Qabalah, Isaac Myers sostiene l’identificazione di materia (la sostanza spirituale passiva di Ibn Gabirol) e principio femminile passivo che deve essere influenzata, informata, dal principio attivo o maschile.
In breve, Binah è il veicolo sostanziale di ogni fenomeno possibile, vuoi fisico vuoi mentale, così come Chokmah è l’essenza della coscienza.
Il suo colore è il Nero, in quanto è negativo e onniricettivo, la sua pietra preziosa è la Perla, con chiaro riferimento, oltre all’origine tipicamente marina della gemma, al modo in cui essa ha origine nell’oscuro recesso dell’ostrica. “Intelligenza Santificante” per lo Yetzirah, le sono associate come piante sacre il Cipresso, il Giglio e il Papaver somniferum dal quale si estrae l’oppio. I Tarocchi ad essa corrispondenti sono i quattro Tre. Il suo simbolo è una colomba che cova: la vera Shechinah, o “Spirito Santo”. La lettera del Tetragrammaton è la prima H e la relativa attribuzione nei Tarocchi le quattro Regine.
Con le specifiche di Regardie, a proposito della terza Sephiroth, ci è chiaro che l’energia di Binah, Saturno, della Grande Madre è distruttiva per amore della creazione. Non a caso il seme deve essere distrutto nella terra perché si crei la pianta. Così come lo spermatozoo deve essere ucciso perché fecondi l’ovulo nell’utero materno.
La Grande Madre è un’energia devastante, così come le corrispondenze evidenziate dall’Amico di Crowley ci insegnano. Porsi al suo cospetto senza la minima conoscenza della propria psiche, si rischia di essere divorati, proprio come fa la Mantide Religiosa o la Vedova Nera, appunto animali Saturnali.
Ma qualora si è pienamente padroni di Sé, quindi completamente capaci di controllare le propri emozioni perché totalmente indagate all’interno della propria caverna oscura, la Grande Madre sa elargire quei dono di Vita utili a rinnovare l’esistenza.
Non a caso alla Sephiroth di Binah i Grandi Ordini Teurgici (come la Golden Dawn, la O.T.O. e certe Vie Rosacrociane) associano il grado di Magister Templi.
Perché per raggiungere il Magister Templi, occorre affrontare la seconda grande crisi: l’attraversamento dell’abisso e la distruzione dell’ego separato.
Il compito essenziale consiste nella completa distruzione dei legami del Ruach che limitano e reprimono la Yechidah. Questo è il paradosso del Cammino. Dopo aver superato difficoltà incredibili e vinto lotte titaniche al fine di perfezionare se stesso in ogni modo possibile e concepibile, il Mago deve gettar via tutto questo arrivando così al punto di abbandonare il Sé per dissolverlo nel Sé.
Il paradosso sta anche nel fatto che finalmente in Binah si raggiunge la verità, ma purtroppo non c’è più alcuna personalità individuale in grado di apprezzarla. L’Adepto/a di un tempo, il Ruach separato, la personalità gloriosa e sviluppata, si è dissolto per sempre nel Grande Mare ineffabile, nel Pleroma nirvanico della Madre: la Città Celeste, la Città delle Piramidi nella Notte di Pan.
Come entità autocosciente, il Mago ha riversato tutto ciò che faceva di lui una particolare entità separata nel flusso della coscienza universale, identificandosi con la divina Shekinah: l’intimo stato di grazia comune a tutta l’umanità. Ovvero, come direbbero certi mistici, egli ha versato ogni goccia del suo sangue nel Calice d’Oro di Nostra Signora Babalon, che è la Shekinah, la divina presenza di Binah.
E, una volta che la sua vita si sia mescolata alla vita di ogni altro individuo, tutto ciò che rimane di lui è una piccola piramide di polvere, da custodire gelosamente nell’Urna di Ermete.
Tuttavia questo processo non è un’autodistruzione, bensì il ritorno alla Realtà sottesa a tutte le cose. E’ la distruzione dei legami che paralizzano il Ruach, un atto che rivela quella Vita fondamentale che plasma e permea tutte le manifestazioni.
Ciò che viene distrutto è l’inconscia illusione del sé come realtà separata, e le restrizioni che tale illusione impongono all’ardente Stella o Monade che è dentro di noi.
Equivale a sollevare lo sguardo da ciò che non ha vita reale per portarlo su un nuovo e più nobile centro di reintegrazione che è vitale, reale ed eterno.
Non si tratta di un semplice mutamento intellettuale.
E’ qualcosa di molto di più che la decisione razionale di integrarsi ad un più alto livello di coscienza osservando tutte le cose da quel nuovo punto di vista: il cambiamento che interviene nel Mago dipende infatti interamente dalla drammatica consapevolezza che il suo centro di gravità, per così dire, si trova ora al di là dell’Abisso.
La Grande Opera in se stessa consiste in un’operazione semplice: questo cambiamento del punto di vista, l’uccisione dell’uccisore della realtà, cioè la Mente.
Ma tutta la storia della nostra evoluzione passata ci rende incapaci di comprendere la semplicità di questa operazione, compiendola direttamente. Siamo costretti perciò a percorrere un lungo e faticoso cammino sino a raggiungere un grado di semplicità tale da consentirci di lacerare il velo e trovare in noi stessi il centro di forze spirituali, Yechidos, radiante di vita e divinità.
La beatificazione e l’estasi sono continue, e non procedono dal Ruach, ma dai Sephiroth superni, in cui dimorano le Potenze vere e gli elementi spirituali dell’uomo. Di conseguenza, i possessori dei tre gradi ultimi, partecipanti al Collegio dei Maestri, sono definiti Tsaddik: ma la loro santità spazia su un ben più elevato piano spirituale. Un titolo più appropriato, forse, sarebbe quello di Baal Shem Tov: Maestro del Nome Divino.
Ma tutto ciò si ottiene passando da Saturno e dalla sua Falce. Ecco perché è necessario arrivare al punto di “non essere mai nati”: ciò che il bruco chiama fine, la farfalla chiama inizio!
Fraternità e LVX miei cari Frater e mie care Soror. Frater SRH.
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